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Lettere alla Nuvola – La giungla del lavoro nelle scuole private

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di Gabriele Andreozzi

In Italia si parla molto di formazione, di scuola pubblica e di sistema educativo anche in virtù della sua rilevanza in quanto indicatore della qualità democratica di una società. Il dibattito mediatico e istituzionale si è concentrato prevalentemente sulle difficoltà del mondo della scuola primaria, secondaria e dell’università pubblica e tende a non occuparsi delle scuole private, ignorando così la situazione lavorativa dei suoi dipendenti.

La galassia delle scuole private rappresenta una composizione variegata di istituti, aziende, società e cooperative che danno lavoro a decine di migliaia di operatori a vario titolo, ma sempre in maniera parcellizzata e con le forme contrattuali più disparate, basandosi sul semplice concetto che il fare formazione è una delle attività più semplici, e al contempo più lucrose se immesse in un mercato senza regole.

Privando il trasferimento della “conoscenza” del suo valore educativo e considerandolo solamente come possibilità di lucro, sono nate a livello locale ma anche nazionale decine di aziende di formazione che a fronte di un numero di dipendenti minimo (poche unità) addensano attorno ad essi una nube di docenti laureati che operano con contratti autonomi o di collaborazione e salari ridicoli.

E così una scuola con pochi dipendenti regolari può, durante l’anno scolastico, dare lavoro anche a diverse decine di docenti con contratto di collaborazione, partita Iva o, non di rado, a nero. Ma se si accetta il presupposto che l’educazione sia fondamentale per lo sviluppo di ogni società che si voglia definire moderna, allora dovrebbe essere rilevante ogni aspetto di questa realtà. E un primo passo in questa direzione sarebbe provare a considerare in maniera adeguata il ruolo dei formatori garantendogli le dovute tutele e un’adeguata retribuzione.

È di poche settimane fa la vicenda che ha visto come protagonista ancora una volta l’azienda Cesd Srl, colosso nazionale della formazione privata e proprietaria di diversi marchi tra i quali CEPU, E-CAMPUS e GS, la quale ha licenziato in tronco alcune delle sue docenti solamente perché avevano richiesto la stabilizzazione del loro contratto di collaborazione secondo quello nazionale, ANINSEI, sottoscritto da Confindustria con le scuole private.

La reale situazione lavorativa di questi docenti prevedeva che a fronte di 500/600€ lordi (pagati a 60 giorni) essi svolgessero un’attività vera e propria di lavoratore subordinato, con orario di insegnamento da rispettare di circa 25/30 ore settimanali e l’utilizzo di un badge in entrata e uscita.

Tutte modalità di svolgimento di un lavoro a progetto vietate secondo la recente riforma Fornero ma che ormai sono diventate la prassi accettata da azienda e lavoratori. E se la vicenda fiorentina si inquadra in un contesto più ampio di licenziamenti arbitrari che questa azienda ha attivato a livello nazionale da diversi mesi senza mai convocare le parti interessate e non fornendo alcuna risposta alle richieste presentate dai lavoratori durante la vertenza; la spregiudicatezza con la quale i docenti vengono assunti nel mondo delle scuola privata è una realtà consolidata.

Realtà fatta di precari estremamente qualificati e privi di tutte le tutele che una professione così strategica richiederebbe.


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